venerdì, Aprile 19, 2024
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L’effetto rebound degli inibitori di pompa

Attualmente gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono tra i farmaci più prescritti al mondo. Il loro successo è dovuto alla loro capacità di chiudere il “rubinetto dell’acidità“, cioè la pompa a protoni, responsabile della produzione di acido nello stomaco. Gli IPP, infatti, abbattono del 90% il livello di acidità, riducendo i sintomi dei disturbi acido-correlati. Essi sono quindi i farmaci d’elezione per la cura di patologie come il reflusso gastroesofageo e l’ulcera. Tuttavia uno studio danese ha messo in evidenza come la loro sospensione possa causare un’iperacidità di rimbalzo[1]. Essa è nota come l’effetto rebound degli inibitori di pompa protonica.

L’effetto rebound degli inibitori di pompa: la spiegazione

La spiegazione dell’effetto rebound è che l’inibizione protratta del livello di acidità dovuta all’utilizzo degli IPP può spingere lo stomaco a modificarsi, ad esempio producendo più gastrina, per compensare la minore produzione di acido. Tuttavia, fino a quando si continua a prendere il farmaco, l’incremento di acidità rimane trascurabile e, in ogni caso, inferiore rispetto all’inizio della terapia. Una volta sospeso il gastroprotettore, però, lo stomaco può non tornare a produrre la sua fisiologica quantità di acido ma, a causa delle modifiche intervenute, può produrre più acido di quanto ne producesse prima della terapia.

L’interruzione degli IPP può quindi portare a una produzione di acido maggiore rispetto all’inizio della stessa terapia. Dopo la loro sospensione i sintomi possono quindi essere peggiori di quelli avuti prima dell’assunzione dei farmaci. Tale dinamica può causare una situazione di dipendenza dagli inibitori di pompa, dovuta all’aggravamento dei sintomi ogni qualvolta si tenti di interromperne l’utilizzo.

La ricerca danese

L’effetto rebound è un fenomeno noto nella comunità medica. Ciononostante per molto tempo si è ipotizzato che il rebound acido non fosse tale da causare sintomi. In altri termini si riteneva che la sospensione degli IPP potesse portare a un fisiologico aumento della secrezione acida, rimanendo tuttavia asintomatico.

I ricercatori dell’università di Copenaghen hanno però mostrato una situazione ben diversa. Essi hanno reclutato 120 soggetti, giovani e senza alcun problema di stomaco. Ad una metà di loro sono stati somministrati IPP per 2 mesi, mentre l’altra ha ricevuto una pillola placebo per lo stesso periodo di tempo. Al termine dei tre mesi i ricercatori hanno misurato il livello di bruciore, reflusso acido e dispepsia in entrambi i gruppi. Il risultato è stato che il 44% dei pazienti che aveva assunto l’inibitore di pompa aveva sviluppato almeno uno dei sintomi summenzionati, a differenza dei pazienti trattati con placebo, in cui i sintomi erano apparsi solo nel 15% dei casi[1].

La differenza tra i due gruppi evidenzia come la sospensione degli IPP possa causare i sintomi tipici di una condizione d’iperacidità. Una conclusione peraltro avvalorata aneddoticamente dalle innumerevoli storie di pazienti che hanno riportato esperienze simili.

L’effetto rebound degli inibitori di pompa: quanto tempo dura?

Sulla base delle attuali evidenza scientifiche l’ipersecrezione acida da rebound ha una durata compresa tra le 8 e le 26 settimane[2]. In questo periodo i fattori responsabili dell’iperacidità diminuiscono gradualmente nel tempo. I sintomi dovrebbero quindi migliorare man mano che si ripristina l’equilibrio gastrico. Altre ipotesi prevedono una normalizzazione dei livelli di acidità entro un periodo compreso tra le 4 e le 8 settimane.

Come sospendere gli inibitori di pompa?

La sospensione della terapia con IPP dovrebbe essere sempre graduale e realizzarsi in un periodo di almeno 2 settimane. Essa può prevedere:

  • la riduzione del dosaggio giornaliero dell’inibitore di pompa;
  • la diminuzione della frequenza d’assunzione.

Nel primo caso è possibile scalare il dosaggio dell’IPP, per esempio dimezzandolo da 40mg a 20mg a 10mg, per poi sospenderlo definitivamente. Nel secondo caso, invece, è possibile alternare i giorni d’assunzione, aumentando gradualmente l’intervallo di tempo in cui non si assume l’IPP fino all’interruzione totale. È inoltre possibile combinare entrambe le strategie, per esempio riducendo prima il dosaggio e successivamente modificandone la frequenza d’assunzione.

Nel periodo successivo alla sospensione degli IPP, qualora i sintomi da iperacidità fossero acuti, è possibile utilizzare i comuni antiacidi e gli alginati e, eventualmente, i gastroprotettori H2 antagonisti. Quest’ultimi, infatti, non dovrebbero interferire con la sospensione degli IPP, poiché hanno un differente meccanismo d’azione farmacologico. Un’attenzione particolare dovrebbe inoltre essere riservata a quelle misure comportamentali attinenti la dieta e lo stile di vita in grado di limitare l’acidità e il reflusso gastroesofageo.

In ogni caso è utile ricordare che il protocollo per la sospensione degli IPP dovrebbe sempre essere adattato alle caratteristiche del paziente e valutato dal proprio gastroenterologo.

Bibliografia
Prof. Ludovico Abenavoli
Prof. Ludovico Abenavoli
Professore associato di Malattie dell’Apparato Digerente - Dipartimento Scienze della Salute, Università “Magna Graecia” di Catanzaro - A.O.U. Renato Dulbecco di Catanzaro

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