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Trapianto di microbiota fecale

Il trapianto di microbiota fecale (FMT) è una procedura attraverso cui la materia fecale di un donatore sano viene trasferita nel tratto intestinale di una persona malata, con l’obiettivo di modificarne il microbiota e determinarne un miglioramento clinico. Le feci, infatti, contengono la flora microbica dell’intestino. Il loro trasferimento dovrebbe quindi permettere di modulare il microbiota del paziente, correggendone quelle alterazioni che si associano ad alcune patologie.

Trapianto fecale: le origini

Negli ultimi anni il trapianto fecale è divenuto sempre più popolare, grazie alla sua efficacia nel trattamento di diverse malattie gastrointestinali. Tuttavia l’idea di un’utilizzo terapeutico delle feci ha una lunga storia.

Le prime forme di trapianto fecale risalgono alla civiltà cinese. Circa 1700 anni fa, infatti, un noto medico di medicina tradizionale, Ge Hong, curò con successo casi di intossicazione alimentare con una bevanda a base di feci, chiamata “zuppa gialla”, somministrata per via orale1. In Nord Africa, invece, le popolazioni beduine erano solite utilizzare le feci di cammello come trattamento per la dissenteria batterica. Durante la Seconda Guerra Mondiale gli stessi soldati tedeschi dell’Afrika Corps, seguendo le indicazioni dei nativi, le assumevano per la Shigellosi2, quando non erano disponibili gli antibiotici. In Occidente casi di trapianto fecale risalgono invece agli studi dell’anatomista Girolamo Fabrici d’Acquapendente che, nel XVII secolo, ne mostrò l’utilità in ambito veterinario3.

Il primo caso di trapianto fecale moderno risale invece al lavoro del dr. Ben Eiseman e dei suoi colleghi presso il Denver General Hospital. Nel 1958 l’equipe ha infatti curato quattro pazienti affetti da colite pseudomembranosa utilizzando clisteri fecali4. Circa 20 anni dopo i ricercatori hanno scoperto che la colite pseudomembranosa era dovuta ad un batterio noto come Clostridium difficile5, responsabile della nota infezione per la quale oggi viene utilizzato il trapianto fecale.

Trapianto fecale: perché?

Generalmente i “microbi” evocano nella percezione comune l’immagine del “germe”, causa di infezioni e malattie. In realtà, nonostante alcuni di essi siano effettivamente patogeni, la maggior parte di loro è innocua o utile per la nostra salute. Il nostro corpo, infatti, ospita un vasto gruppo di microorganismi, fatto di batteri, funghi e virus che, quando sono in equilibrio (eubiosi), contribuiscono al buon funzionamento dell’organismo.

In particolare il microbiota intestinale media l’attività del sistema immunitario, endocrino e nervoso, oltre a contribuire alla digestione, fornendo energia per il corpo e nutrienti per le cellule intestinali. Tuttavia una condizione di disbiosi intestinale, caratterizzata da una prevalenza di specie microbiche nocive o da una loro ridotta diversità, può invece concorrere allo sviluppo di diverse malattie.

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha evidenziato alterazioni del profilo microbico enterico in molte patologie come, ad esempio, l’asma, le malattie infiammatorie intestinali (IBD), la sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e l’obesità. Inoltre alcuni interessanti studi su topi germ-free, nati e cresciuti in un ambiente sterile, hanno suggerito come l’associazione tra microbiota intestinale e malattia possa essere di tipo causale67. La totale assenza di microrganismi nei topi consente infatti di studiare in modo chiaro l’impatto che il microbiota ha sull’organismo. Nel caso dell’obesità, ad esempio, il trapianto di feci prelevate da topi obesi porta ad un aumento di peso nei topi riceventi, sebbene l’apporto calorico rimanga invariato8. Ciò suggerisce come il microbiota intestinale possa contribuire allo sviluppo di alcune condizioni patologiche e come il trapianto fecale possa invece essere utilizzato per modificarne l’evoluzione.

A cosa serve il trapianto fecale?

Attualmente il trapianto fecale è autorizzato dall’AIFA solo per il trattamento dell’infezione da Clostridium Difficle recidiva o resistente alla terapia antibiotica. Il trattamento di prima linea di quest’infezione prevede infatti la somministrazione degli antibiotici. Tuttavia nei casi in cui l’infezione sia ricorrente o refrattaria alla terapia antibiotica, è indicato il trapianto fecale. L’FMT ha infatti una percentuale di guarigione dell’80-90% rispetto al 26-30% che si ottiene con la somministrazione della vancomicina9.

Il C. difficile si contrae per contatto, prevalentemente in ambito ospedaliero. Va notato, però, che il batterio è presente naturalmente nel nostro intestino. Alcune circostanze, come l’utilizzo congiunto di gastroprotettori e antibiotici10, possono però favorirne una crescita eccessiva o aumentare la suscettibilità all’infezione da parte di ceppi più aggressivi.

Le sue principali manifestazioni sono la diarrea e il dolore addominale, ma nella forma acuta l’infezione può causare gravi complicazioni, talvolta fatali nel paziente anziano.

Indicazioni emergenti

Negli ultimi anni diversi studi hanno indagato l’efficacia del trapianto fecale per il trattamento di un’ampia gamma di patologie. I risultati, sebbene preliminari, sembrano suggerire una sua possibile utilità nelle infezioni multi-resistenti e in alcuni disturbi gastroenterologici, metabolici, neurologici, autoimmuni e oncologici. In particolare il trapianto fecale potrebbe essere utile in patologie come1112:

  • infezioni multi-resistenti;
  • colite ulcerosa;
  • morbo di Crohn;
  • sindrome dell’intestino irritabile;
  • encefalopatia epatica;
  • obesità;
  • sindrome metabolica;
  • diabete di tipo II;
  • fibromialgia;
  • sindrome da fatica cronica;
  • sclerosi multipla;
  • artrite reumatoide;
  • morbo di Parkinson;
  • epilessia;
  • distonia mioclonica;
  • disturbo bipolare;
  • disturbi dello spettro autistico;
  • malattia del trapianto contro l’ospite;
  • melanoma metastatico che non risponde all’immunoterapia.

Va notato, tuttavia, che le prove di efficacia e sicurezza disponibili sono limitate ed impongono ulteriori approfondimenti. Attualmente l’evidenza scientifica non consente quindi di poter formulare raccomandazioni circa l’utilizzo del trapianto fecale per queste patologie.

Trapianto fecale: come si fa?

Innanzitutto il trapianto fecale prevede che il donatore e il campione di feci siano sottoposti ad approfonditi screening, mirati ad accertare la salute del donatore e ad escludere la presenza di agenti patogeni, tossici o antibiotico-resitenti nelle feci.

Una volta terminata la fase di screening, le feci sono opportunamente trattate, preferibilmente in ambiente anaerobico, per poter essere utilizzate nella successiva fase d’infusione. Di solito sono miscelate, manualmente o meccanicamente, con acqua o soluzione fisiologica, per poi essere filtrate al fine di rimuoverne il particolato.

Generalmente la via d’infusione più frequente del campione di feci è quella rettale. In questo caso il trapianto di microbiota viene eseguito attraverso la colonscopia, che consente di depositare direttamente nel colon il contenuto fecale. In alternativa è possibile l’utilizzo del clistere. Tuttavia questa procedura è meno efficace della colonscopia, a causa del suo minore raggio d’azione, limitato alla parte più distale dell’intestino.

Il trapianto di microbiota può inoltre essere eseguito utilizzando un sondino naso-gastrico. In questo caso il materiale fecale viene depositato nel duodeno e da qui scende verso il colon. Tuttavia non si può eslcudere che parte della materia fecale possa refluire dal duodeno verso lo stomaco.

Infine il trapianto fecale può essere effettuato utilizzando delle capsule gastroresistenti, in grado di sorpassare la barriera acida dello stomaco e rilasciare la materia fecale una volta giunte nell’intestino. In tal modo i microrganismi presenti nelle feci dovrebbero superare indenni l’insulto acido gastrico, conservando la vitalità necessaria a colonizzare l’intestino.

Effetti collaterali

Il trapianto di microbiota fecale è considerato una procedura sicura e ben tollerata. La maggior parte degli effetti collaterali segnalati sono sintomi gastrointestinali, come crampi, diarrea e costipazione, che si risolvono spontaneamente dopo circa una settimana13.

Raramente possono verificarsi anche effetti collaterali gravi Nel caso il cui il donatore e il campione di feci non siano sottoposti ad approfonditi screening, è possibile infatti che il trapianto trasferisca agenti patogeni nel soggetto ricevente. Inoltre le modalità di somministrazione del contenuto fecale possono aumentare il rischio di polmonite da inalazione.

Conclusioni

Negli ultimi anni gli studi sul trapianto fecale sono aumentati rapidamente, restituendo risultati promettenti, sebbene variabili. La ricerca infatti è ancora agli inizi e diverse sono le questioni da chiarire. Non è ancora pienamente compreso, ad esempio, quali siano le procedure ottimali per l’esecuzione del trapianto. Le modalità di conservazione, preparazione e somministrazione dei campioni fecali potrebbero infatti influenzare il successo della procedura. Soprattutto, non è ancora chiaro quali siano le caratteristiche del microbiota da considerare nella selezione dei donatori. Sembrerebbe, infatti, che l’efficacia del trapianto possa dipendere dalla composizione e dalla diversità microbica dei campioni fecali. Ciò ha portato a ipotizzare l’esistenza di super-donatori, le cui caratteristiche rimangono tuttavia da chiarire. Man mano, però, che aumenterà la comprensione di questi aspetti, sarà possibile ottenere procedure maggiormente standardizzate ed efficaci, che consentiranno di ottenere una minore variabilità nella risposta dei pazienti e di allargare l’uso del trapianto fecale oltre quello attuale.

Prof. Edoardo V. Savarino
Prof. Edoardo V. Savarino
Professore Associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche - DiSCOG Università degli Studi di Padova - Azienda Ospedaliera Università di Padova

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