giovedì, Giugno 8, 2023

Acalasia

Acalasia: cos’è?

L’esofago è un tubo dotato di una tonaca muscolare longitudinale e circolare, che permette il passaggio del cibo dalla bocca allo stomaco. Esso è separato dal resto del canale alimentare da due diversi sfinteri, cioè da anelli di tessuto muscolare, che si aprono per far passare il cibo e, si chiudono, per impedirne la risalita. Lo sfintere esofageo superiore (o upper esophageal sphincterUES) separa l’esofago dalla faringe, mentre quello inferiore (o lower esophageal sphincter – LES) lo divide dallo stomaco. Generalmente quando si deglutisce, entrambi gli sfinteri si rilassano, mentre la muscolatura esofagea si contrae. Ciò fa sì che il cibo entri nell’esofago, lo attraversi spinto dalla peristalsi, passando infine nello stomaco.

Non sempre, però, questo processo funziona correttamente. È il caso dell’acalasia esofagea, un disturbo in cui si rileva un’ostruzione del deflusso gastro-esofageo, che non deriva da anomalie strutturali, ma da un alterato rilassamento del LES, con contrazioni assenti o spastiche del corpo dell’esofago[1].

Le cause dell’acalasia

Nell’acalasia l’ostruzione del deflusso gastro-esofageo, responsabile della tipica sensazione del cibo che non scende, è causata dal mancato rilassamento del LES (si veda fig. 1), cui può associarsi un’insufficiente propulsione del cibo, dovuta ad un’alterata contrazione del corpo esofageo. L’acalasia è quindi un disturbo della motilità esofagea. Quest’ultima è controllata dal cosiddetto plesso mioenterico, anche noto come plesso di Auerbach. Esso è un sistema di fibre nervose che innerva la muscolatura esofagea, regolandone l’eccitazione e l’inibizione e, di conseguenza, la contrazione e il rilassamento. Nell’acalasia si assiste prevalentemente ad una perdita della funzione inibitoria, essenziale per il rilasciamento del LES. L’ipotesi principale è che essa sia causata da una reazione autoimmune, che attacca i neuroni mioenterici esofagei, danneggiandoli, e alterando così la motilità fisiologica dell’esofago.

Fig. 1

Diversi studi hanno inoltre suggerito che alcune infezioni virali potrebbero contribuire allo sviluppo dell’acalasia, attivando una risposta infiammatoria persistente, in grado di danneggiare i neuroni mioenterici. Frammenti di DNA virale e anticorpi specifici per i diversi virus, infatti, sono stati trovati nel tessuto esofageo e nel sangue di pazienti acalasici [23]. In particolare, l’acalasia è stata associata al virus varicella-zoster, all’herpes simplex di tipo 1, al virus del morbillo e al papillomavirus umano.

Altri studi hanno però mostrato l’assenza di virus nel tessuto esofageo di soggetti acalasici[4] o la loro presenza, come nel caso dell’herpes simplex di tipo I, in soggetti senza acalasia. Ciò mostra come le infezioni virali non siano di per sé sufficienti a causare l’acalasia, suggerendo, allo stesso tempo, il ruolo concomitante di altri fattori come, ad esempio, quelli genetici. L’acalasia, infatti, è stata associata ad alcuni geni HLA, che potrebbero predisporre, chi ne è portatore, ad un’anomala attivazione immunitaria, scatenata da fattori ambientali come le infezioni (si veda fig.2).

Fig. 2 – Le cause dell’acalasia – In individui geneticamente predisposti, un fattore scatenante ambientale, ad es. un’infezione virale, può attivare una risposta autoimmune, responsabile di un’infiammazione persistente, che può esitare nel danneggiamento del sistema nervoso mioenterico.

Acalasia di tipo I, II e III

L’acalasia è un disturbo che può assumere forme diverse, che presentano caratteristiche, sintomi e risposte alle terapie specifiche. Solitamente si distinguono tre diversi sottotitpi di acalasia, accomunati dalla compromissione del rilassamento del LES e distinti, invece, sulla base della loro diversa peristalsi.

In particolare, nell’acalasia di tipo I la peristalsi è assente. La contrazione della muscolatura liscia esofagea, sia quella longitudinale (verticale) che quella trasversale (orizzontale), è compromessa. È possibile, infatti, che nell’acalasia di tipo I l’infiammazione causi la perdita completa dei gangli e dei neuroni mioenterici (vedi fig. 3). In questo caso lo svuotamento esofageo, fortemente ridotto, è strettamente dipendente dalle personali strategie di compenso sviluppate dal paziente (per es., mangiare in piedi, distendere il collo o l’intero tronco sollevando le braccia, stimolare meccanicamente l’area epigastrica con dei “colpetti”, bere molta acqua, etc.).

Nell’acalasia di tipo II la peristalsi è invece parzialmente preservata. Si registra, infatti, una forte contrazione della muscolatura longitudinale, che supporta uno svuotamento esofageo intermittente. Anche l’acalasia di tipo II è dovuta alla perdita progressiva dei neuroni mioenterici. Essi sono però compromessi in misura minore rispetto all’acalasia di tipo I.

Nell’acalasia di tipo III la peristalsi è caratterizzata invece da contrazioni del corpo esofageo premature o spastiche. Si registra, infatti, una mancata coordinazione tra la contrazione della muscolatura esofagea longitudinale e quella circolare. In questo caso il transito esofageo può essere adeguato, sebbene scarsamente omogeneo[56]. Nell’acalasia di tipo III si ritiene che l’infiammazione influenzi la funzionalità del plesso mioenterico, senza però causare la morte dei neuroni. In particolare, il rilascio locale di citochine può causare uno squilibrio tra la funzione eccitatoria e quella inibitoria del plesso mioenterico, causando contrazioni premature o spastiche del corpo esofageo.

Va notato, infine, che in una particolare condizione, nota come “ostruzione al deflusso della giunzione esofagogastrica” (o esophago-gastric junction outflow obstruction – EGJOO), la peristalsi del corpo esofageo è intatta, mentre si registra, similmente agli altri tipi di acalasia, un anomalo rilassamento del LES.

Fig. 3 – Acalasia di tipo I, II e III – adattato da: Savarino E et al.. Achalasia. Nat Rev Dis Primers. 2022 May 5;8(1):28.

I sintomi dell’acalasia

I sintomi dell’acalasia, come la “sensazione del cibo che non scende” o che “si blocca alla bocca dello stomaco“, sono dovuti all’ostruzione del deflusso esofageo, che varia nelle diverse diverse fasi dell’acalasia.

Nell’acalasia precoce, ad esempio, l’ostruzione esofagea è solo parziale. L’esofago, infatti, ha ancora una buona forza propulsiva, che consente al cibo di superare, seppur non pienamente, la resistenza oppostagli dallo sfintere esofageo. I sintomi iniziali dell’acalasia si manifestano quindi in modo più sfumato e fraintendibile. In questa fase può capitare, infatti, che sintomi come il rigurgito e il dolore toracico inducano erroneamente a diagnosticare la malattia da reflusso gastroesofageo.

Nelle forme di acalasia conclamata, come quelle dei tipi I e II, i sintomi si presentano invece in modo più netto e completo. L’esofago, infatti, tende ad assumere una forma dilatata, che trattiene il cibo e ne limita lo svuotamento. In questa fase l’acalasia si manifesta attraverso i suoi sintomi cardinali, come:

  • la disfagia;
  • il rigurgito;
  • la perdita di peso;
  • il dolore toracico.

I soggetti acalasici riportano frequentemente disfagia, sia per i solidi che per i liquidi. Essi manifestano anche rigurgito di cibo e saliva non digeriti, soprattutto in posizione distesa. Può capitare, inoltre, che i pazienti siano svegliati dal rigurgito, che può essere causa di tosse e, talvolta, di un momentaneo senso di soffocamento.

L’acalasia, inoltre, può provocare perdita di peso. I soggetti acalasici, infatti, tendono a mangiare di meno a causa dei loro sintomi, oltre ad assorbire meno per l’ostruzione esofagea. L’acalasia può tuttavia presentarsi anche nelle persone obese. In questo caso è possibile che una loro minore sensibilità esofagea riduca la percezione della disfagia, consentendo ugualmente un elevato apporto calorico[7]. L’acalasia, infine, può causare dolore toracico, comune in tutti i sottotipi della malattia, ma soprattutto nel tipo III. La sua origine non è chiara, ma potrebbe essere dovuta a contrazioni spastiche della muscolatura liscia, all’ipersensibilità esofagea o a processi infiammatori dovuti al ristagno di cibo nell’esofago[8].

Fig 4. – Acalasia avanzata – Fonte: End-stage achalasia

La pseudoacalasia

I sintomi dell’acalasia possono essere dovuti anche ad altri disturbi o condizioni, che possono mimarne le manifestazioni. In questi casi si è soliti parlare di pseudoacalasia. Tra i possibili fattori che possono causare sintomi simili a quelli dell’acalasia, come la disfagia e il rigurgito, vi sono:

  • malattia da reflusso gastroesofageo;
  • stenosi esofagee;
  • esofagite eosinofila;
  • spasmo esofageo diffuso;
  • esofago ipercontrattile;
  • tumori gastroesofagei;
  • cancro del polmone a piccole cellule;
  • cancro del rene a cellule chiare;
  • malattia di Chagas;
  • uso di oppioidi;
  • interventi di fundoplicatio per la malattia da reflusso gastroesofageo o per l’ernia iatale.

Diagnosi dell’acalasia

La diagnosi di acalasia si basa sul riconoscimento dei suoi sintomi principali (disfagia, rigurgito, perdita di peso e dolore toracico) e sull’uso appropriato di alcuni esami diagnostici. Le indagini strumentali prevedono la gastroscopia, la manometria e l’esofagografia.

La gastroscopia viene utilizzata innanzitutto per escludere anomalie morfologiche o neoplastiche, cui ricondurre l’ostruzione del deflusso esofageo. L’endoscopia superiore può anche rilevare eventuali indizi di acalasia, come la presenza di saliva all’interno di un esofago dilatato (si veda fig. 5) o una modesta resistenza della giunzione gastroesofagea al passaggio dell’endoscopio.

Fig. 5 – Reperti endoscopici di acalasia. Notare la dilatazione nell’esofago medio e la ritenzione idrica nell’esofago inferiore -Fonte: Lee BH et al.. Peroral endoscopic myotomy for treatment of achalasia: initial results of a korean study. Clin Endosc. 2013 Mar;46(2):161-7. 

La diagnosi di acalasia avviene invece attraverso la manometria esofagea ad alta risoluzione. Quest’esame , infatti, permette di valutare l’attività peristaltica dell’esofago, le sue pressioni e la capacità di rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore. Essa consente quindi di accertare il rilassamento anormale del LES ed eventuali alterazioni della peristalsi esofagea. La manometria esofagea, inoltre, può essere utilizzata per caratterizzare i diversi tipi di acalasia esofagea

Infine l’esofagografia può essere affiancata alla manometria esofagea per approfondirne i risultati. La radiografia con pasto baritato temporalizzato, infatti, permette di studiare radiologicamente l’esofago e il transito esofago-gastrico. Essa, ad esempio, può essere utilizzata per evidenziare la dilatazione dell’esofago, la sua eventuale forma sigmoide (si veda fig. 4) o l’ostruzione del deflusso esofageo, mostrata dal passaggio rallentato e filiforme del mezzo di contrasto attraverso il LES. Quest’evidenze, inoltre, possono essere utili non solo per supportare la diagnosi di acalasia, ma anche per valutare l’eventuale risposta alla terapia.

Il trattamento dell’acalasia

L’alterata motilità esofagea dell’acalasia è una condizione irreversibile, da cui non si guarisce. La sua cura è quindi incentrata nel ridurre l’ostruzione del deflusso esofageo, in modo da migliorarne i sintomi e ridurre il rischio di una evoluzione della malattia verso il suo stadio più avanzato. Le terapie ad oggi disponibili possono essere di tipo medico o endoscopico/chirurgico. Ciascuna ha vantaggi e svantaggi specifici.

Terapia medica

Farmaci

I farmaci utilizzati per l’acalasia sono:

  • i calcioantagonisti;
  • i nitrati;
  • gli anticolinergici;
  • gli inibitori della fosfodiesterasi.

Questi farmaci hanno mostrato di ridurre la pressione del LES, alleviando temporaneamente la disfagia. Tuttavia essi non migliorano la peristalsi esofagea e il rilassamento del LES. I loro effetti collaterali, come ad esempio l’ipotensione e il mal di testa, ne limitano inoltre l’uso continuativo. I farmaci dovrebbero quindi essere utilizzati solo nei casi in cui il paziente non sia candidabile alla terapia chirurgica o qualora la rifiuti[9].

Iniezione di botulino

Un’altra opzione terapeutica per il trattamento medico dell’acalasia è l’iniezione di tossina botulinica nel LES. Essa, infatti, altera il rilascio di acetilcolina, inibendo la contrazione dello sfintere esofageo e riducendone così la pressione. L’iniezione di botulino può quindi migliorare i sintomi dell’acalasia. Essa è risultata efficace nel 77% dei pazienti in un follow-up a 6 mesi[10].Tuttavia il suo effetto è di breve durata, circa 6-9 mesi, dopo i quali è necessario ripetere il trattamento. Gli effetti collaterali più comuni sono il dolore toracico, il bruciore e la perforazione esofagea (rarissima) dovuta all’iniezione. Essi sono però rari.

L’iniezione di botulino può quindi essere un’opzione a breve termine, utile per ridurre i sintomi, in attesa di un intervento più invasivo e duraturo. Essa può inoltre essere consigliata a quei pazienti che vi rispondono e che non possono sottoporsi a procedure più invasive.

Terapia endoscopica e chirurgica

Dilatazione pneumatica

La dilatazione pneumatica (PD) è una procedura endoscopica, che prevede l’introduzione di un palloncino rigido centrato sul LES, che ne dilata la muscolatura, sfiancandola, e riducendo così l’ostruzione del deflusso esofageo (si veda fig. 6). Questa procedura è risultata efficace nell’83% dei pazienti in un follow-up a 3 mesi[10]. La complicanza più comune della dilatazione pneumatica è la malattia da reflusso gastroesofageo, dovuta alla dilatazione del LES. Essa è però abbastanza rara, interessando solo il 9% dei pazienti.

Fig. 6 – Le fasi dell’intervento di dilatazione pneumatica – Fonte: adattato da: Boeckxstaens GE et al..Achalasia, Lancet. 2014 Jan 4;383(9911):83-93.

La dilatazione pneumatica è utile in particolare nei pazienti con acalasia di tipo 2, ma anche in quelli con acalasia di tipo 1. Essa, inoltre, è particolarmente utile nei soggetti che presentano sintomi ricorrenti dopo essersi sottoposti a una delle altre procedure invasive[9].

Miotomia endoscopica transorale (POEM)

La miotomia endoscopica perorale (POEM) è una procedura eseguita endoscopicamente, senza alcuna incisione esterna, che prevede la dissezione delle fibre muscolari responsabili dell’ostruzione del deflusso esofageo. L’intervento mira quindi a interrompere l’attivazione di quella parte di muscolatura dell’esofago, causa dell’alterata motilità esofagea. Essa può interessare segmenti esofagei di lunghezza variabile. Generalmente nell’acalasia di tipo III la miotomia avviene su porzioni di esofago più lunghe, interessate da eventuali contrazioni spastiche pan-esofagee. Nell’acalasia di tipo 1 e 2 può invece essere sufficiente una miotomia più corta, tesa a ridurre soltanto il tono del LES.

La POEM ha mostrato di ridurre significativamente la pressione del LES, con un conseguente miglioramento della disfagia. Essa risulta efficace nella maggior parte dei pazienti (82-98%[11]), con un’ampia riduzione dei sintomi, che sembra essere duratura. Essa, inoltre, ha mostrato di essere particolarmente efficace nei pazienti con acalasia di tipo III, che solitamente rispondo meno alle altre procedure. Tuttavia la POEM può causare reflusso gastroesfoageo in una quota significativa di pazienti (21-47%[10]). L’intervento di miotomia endoscopica deve quindi essere attentamente valutato nei pazienti giovani, a causa del rischio cronico di reflusso e delle sue possibili complicanze patologiche (stenosi, esofago di Barrett, cancro gastrico).

Miotomia laparoscopica di Heller

La miotomia laparoscopica di Heller è un intervento chirurgico eseguito in laparoscopia (con minime incisioni), che prevede la dissezione sottomucosa delle fibre muscolari nell’area della giunzione gastroesofagea (si veda fig. 7). L’interruzione delle fibre longitudinali e circolari di quest’area permette infatti di ridurre l’ostruzione del deflusso esofageo. In particolare l’intervento ha un’elevata efficacia, con un miglioramento dei punteggi attinenti i sintomi e la soddisfazione dei pazienti maggiore del 90% [12]. In particolare, la miotomia di Heller è preferita nell’acalasia di tipo I, sebbene essa abbia mostrato risultati di efficacia simili alla POEM e alla distensione pneumatica anche nell’acalasia di tipo II.

Fig. 7 – La miotomia laparoscopica di Heller – Fonte: Boeckxstaens GE et al..Achalasia, Lancet. 2014 Jan 4;383(9911):83-93.

Va notato, inoltre, che durante la miotomia di Heller spesso si esegue anche un intervento di fundoplicatio parziale, per ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo derivante dalla miotomia. Tuttavia, se questo accorgimento sembra essere utile a ridurre il reflusso nel breve termine, non ci sono vantaggi significativi per reflusso e disfagia a lungo termine. L’intervento di fundoplicatio che viene eseguito, infatti, è solo parziale.

Esofagectomia

Non sempre la terapia chirurgica riesce ad arrestare la progressione dell’acalasia. Circa il 5% dei pazienti, infatti, ne sviluppa la forma più avanzata, in cui l’esofago assume una forma particolarmente dilatata e tortuosa, che aggrava la malattia, favorendo l’ostruzione esofagea. I pazienti possono avere seri problemi di malnutrizione, complicanze polmonari da aspirazione e forme di esofagite severa. In questi casi, dopo aver tentato tutte le altre procedure invasive, può essere indicata un’esofagectomia, cioè l’intervento di asportazione dell’esofago, ormai privo della sua fisiologica funzione. Nei soggetti non idonei all’esofagectomia può invece essere utilizzata l’alimentazione enterale, che consente di nutrire il paziente senza far passare il cibo dall’esofago.

Si muore di acalasia?

Generalmente l’acalasia di per sé non è mortale. In linea generale il rischio relativo di mortalità (RR) (vedi box. 1) è leggermente superiore a quello della popolazione generale (RR=1.33 95% CI 1.17–1.51)[13]. Alcuni studi, inoltre, non hanno trovato differenze
per cause di morte e aspettativa di vita tra gli acalasici e la popolazione generale[1415]. Tuttavia l’acalasia può dare complicanze, che possono avere gravi conseguenze sulla salute. Rispetto alla popolazione generale, infatti, i pazienti acalasici hanno un rischio maggiore di sviluppare[13]:

  • malnutrizione;
  • aspirazione polmonare (RR=13,38, 95% CI 1,66-107,79);
  • infezioni delle basse vie respiratorie (RR=1,33, 95% CI 1,05-1,70);
  • cancro dell’esofago (RR=5,22, 95% CI 1,88-14,45).

La complicanza più temibile dell’acalasia è il tumore esofageo. Il ristagno di cibo, infatti, può causare un’infiammazione cronica dell’esofago che, nel tempo, può portare allo sviluppo del carcinoma esofageo a cellule squamose. Inoltre gli interventi per l’acalasia possono causare reflusso gastroesofageo , che può aumentare il rischio di sviluppare l’esofago di Barrett che, a sua volta, aumenta il rischio per l’adenocarcinoma esofageo. Va notato, tuttavia che il rischio assoluto di cancro esofageo, cioè la sua incidenza tra i pazienti acalasici, è basso. Il rischio relativo è invece alto. Rispetto alla popolazione generale, infatti, un paziente acalasico ha un rischio 72 volte maggiore di sviluppare il carcinoma esofageo a cellule squamose e 6 volte maggiore per l’adenocarcinoma esofageo[1617].

Le neoplasie si osservano più frequentemente tra i maschi e, nella maggior parte dei casi, dopo 10 anni dalla diagnosi di acalasia. Non è invece chiaro se il tipo di intervento per l’acalasia e il numero di reinterventi possano influenzare il rischio di sviluppare una malignità esofagea.

CHE COS’È IL RISCHIO RELATIVO?
Il rischio relativo (RR) è la probabilità che un soggetto, appartenente al gruppo degli acalasici, sviluppi una certa complicanza (per es., la morte), rispetto alla probabilità che un soggetto appartenente alla popolazione generale sviluppi quella stessa complicanza. Esso viene calcolato semplicemente come il rapporto tra l’incidenza della complicanza tra gli acalasici rispetto alla sua incidenza tra la popolazione generale. Un suo valore minore di 1 indica quindi che la probabilità di morire è maggiore tra la popolazione generale rispetto a quella degli acalasici. Un valore uguale a 1, indica invece che non c’è alcuna differenza, mentre un valore superiore a 1, indica che il rischio è maggiore per gli acalasici. Nel nostro caso il rischio relativo di morire tra gli acalasici è 1,33 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale.
Box. 1 – Che cos’è il rischio relativo?

Prospettive future

Attualmente gli interventi per l’acalasia rappresentano il gold standard per il suo trattamento. Essi, infatti, migliorano i sintomi dell’acalasia nella maggior parte dei pazienti, tendono a stabilizzarla e consentono di avere una buona qualità di vita. Tuttavia essi non agiscono sulle cause della malattia, ma solo sulle sue conseguenze. Gli interventi, infatti, si “limitano” a distruggere le fibre muscolari responsabili dell’ostruzione esofagea, ma non riescono a correggere i meccanismi fisiopatologici dell’acalasia. Un avanzamento significativo della sua cura potrebbe quindi derivare dall’individuazione di nuove terapie, in grado di agire sulle cause della malattia.

Una dell’ipotesi più supportate dall’evidenza è che l’acalasia sia dovuta ad una reazione autoimmune. Un nuovo approccio terapeutico potrebbe quindi prevedere l‘uso di farmaci immunomodulatori nella fase precoce della malattia[18], quando ancora la riserva di neuroni mioenterici non è stata compromessa dall’attacco immunitario. Vale la pena notare, a tal riguardo, che in letteratura sono riportati tre casi clinici di acalasia in cui l’uso di cortisonici, da soli o in combinazione con altre terapie immunosoppressive, ha mostrato un notevole miglioramento del quadro clinico, con il recupero completo della peristalsi esofagea confermato dall’esame manometrico[19202122]. Tuttavia l’evidenza è limitata. Sono quindi necessari ulteriori studi che chiariscano se, come e quando gli immunomodulatori possono essere utili per l’acalasia.

Un altro possibile approccio terapeutico è il trapianto di cellule staminali neurali. Recentemente i ricercatori hanno infatti mostrato come le cellule staminali possano essere isolate e coltivate dalle biopsie della mucosa. Sembrerebbe, inoltre, che esse siano in grado di attecchire, migrare e differenziarsi con successo in neuroni enterici e glia all’interno dell’intestino[23]. Il trapianto di cellule staminali potrebbe quindi permettere di ripristinare le strutture (neuroni e gangli) del plesso mioenterico, consentendo il recupero della funzionalità esofagea. Si tratta, tuttavia, di un’opzione terapeutica che deve ancora essere adeguatamente approfondita.

Infine l’uso della terapia antivirale potrebbe rappresentare un ulteriore opzione terapeutica nei pazienti con acalasia di recente insorgenza[24]. S’ipotizza, infatti, che la reazione autoimmune alla base dell’acalasia possa essere attivata da un’infezione virale. La somministrazione di antivirali potrebbe quindi eliminare il fattore d’innesco della risposta immunitaria. Anche in questo caso, però, l’evidenza è solo preliminare. Inoltre potrebbe essere difficile individuare i casi d’acalasia di recente insorgenza, considerata la frequente tardività con la quale essa viene diagnosticata.

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Prof. Edoardo V. Savarino
Prof. Edoardo V. Savarino
Professore Associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche - DiSCOG Università degli Studi di Padova - Azienda Ospedaliera Università di Padova

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