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La malattia di Crohn

Malattia di Crohn: che cos’è?

La malattia di Crohn (non “morbo” di Crohn, termine desueto e con accezione di patologia grave e ineluttabile) è una patologia infiammatoria, cronica (cioè che dura tutta la vita) che colpisce l’apparato digerente. Ne possono potenzialmente essere interessati tutti i tratti, dalla bocca all’ano, ma più frequentemente viene interessato l’ultimo tratto dell’intestino tenue (il cui compito principale è quello di assorbire i nutrimenti), chiamato ileo terminale, e il primo tratto del colon (il cui compito principale è quello di assorbire l’acqua). Classicamente l’infiammazione intestinale colpisce a ”salto”, con tratti di intestino malato alternati a tratti di intestino sano.

In chi è affetto da malattia di Crohn l’infiammazione può colpire anche altri organi, in ordine di frequenza le articolazioni (artrite), la pelle (con manifestazioni infiammatorie tipiche alla cute chiamate “eritema nodoso” e “pioderma gangrenoso), l’occhio (uveite), il fegato (colangite sclerosante primitiva) e altri organi con minor frequenza. Una manifestazione tipica e, purtroppo, molto impattante sulla qualità di vita dei pazienti, è quella a livello della regione anale. Essa è caratterizzata dalla presenza di ascessi o fistole, che sono complicati da trattare in quanto tali e che sono associati ad un andamento più aggressivo della malattia in generale.

Nel mondo occidentale (Europa, Nord America, Israele) la prevalenza è di circa due persone malate di malattia di Crohn ogni 1000 abitanti, con più di 100.000 persone in Italia che ne sono affette. Il numero di maschi e di femmine ammalati è sostanzialmente pari. La fascia d’età di insorgenza più colpita è quella tra i circa 12 e i 40 anni di età, con un secondo minor picco di incidenza tra i 60 e 70 anni. Esso però può insorgere a qualsiasi età.

Cosa provoca la malattia di Crohn?

Ad oggi ancora non è nota la causa della malattia di Crohn ma, secondo la teoria ad oggi maggiormente condivisa, alla base ci sarebbero i seguenti fattori.

Una predisposizione genetica che comporta una alterazione del sistema immunitario, in particolare una carenza della funzione del sistema immunitario innato (deficit di “difensive”), che ha il compito di reagire in brevissimo tempo agli agenti patogeni,  prima che possano proliferare, con conseguente iperattivazione del sistema immunitario adattativo (linfocita T mediato), un tipo di risposta immunitaria molto più complessa e difficile da spegnere.

Un altro fattore è l’aumentata permeabilità della barriera intestinale, che permetterebbe agli agenti del mondo esterno di venire più facilmente a contatto con il nostro sistema immunitario.

Inoltre, sembrerebbe giocare un ruolo chiave il microbioma intestinale che, nei pazienti affetti da malattia di Crohn, è meno diversificato rispetto alla popolazione sana: se però l’alterazione del microbioma intestinale sia una conseguenza dell’infiammazione o sia la sua causa ad oggi non è ancora noto.

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Infine, lo stile di vita sembra giocare un ruolo chiave: una dieta di tipo occidentale, povera in frutta e verdura e ricca in cibi ultra raffinati (snack, merendine, bevande zuccherate), carni rosse, sembra essere la motivazione per cui la malattia di Crohn è più frequente nel mondo occidentale rispetto ai paesi in via di sviluppo e del fatto che nei paesi in via di sviluppo, i quali stanno adottando uno stile di vita sempre più occidentale, la malattia di Crohn sia in continuo aumento. Un altro importante fattore di rischio per la malattia di Crohn e per un suo andamento più aggressivo è il fumo di sigaretta. L’anello della catena che unirebbe le modifiche nello stile di vita con l’insorgenza dell’infiammazione a livello intestinale sembra essere l’alterazione del microbioma intestinale, che una dieta diversa da quella che l’uomo ha assunto per millenni ha sul microbioma intestinale.

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La malattia di Crohn è ereditaria?

La malattia di Crohn non è una malattia ereditaria nel senso più stretto del termine, non è quindi una malattia a trasmissione diretta dai genitori ai figli. Se però la prevalenza delle malattie infiammatorie croniche intestinali è di quattro persone ogni 1000 abitanti, il figlio di un paziente con malattia infiammatoria cronica intestinale ha un rischio di circa il 6% di sviluppare tali patologie nel corso della sua vita: questo vuol dire che il 94% dei figli affetti da un genitore con tale patologia non la svilupperà, ma sicuramente avrà un rischio superiore a quello della popolazione generale.

Ad oggi sono noti circa 240 geni che influenzano il rischio di sviluppare una malattia infiammatoria cronica intestinale: essendo così tanti, ovviamente, nessun gene da solo ha un ruolo decisivo; essi però codificano proteine che sono coinvolte nel riconoscimento dei batteri a livello intestinale. Il primo gene scoperto è il gene NOD2, ma test genetici atti a ricercare tali geni non hanno ancora un ruolo né nella fase diagnostica, né nella fase di predizione dell’andamento di malattia.

Il consiglio per una famiglia in cui uno dei genitori è affetto da malattia di Crohn è, nel caso in cui un figlio sviluppi dei sintomi intestinali duraturi (diarrea, mal di pancia, calo di peso, scarso accrescimento), anticipare quegli esami non invasivi che fanno parte del normale iter diagnostico dei pazienti con tali sintomi (calprotectina fecale, ecografia delle anse intestinali), ovviamente sotto la guida del pediatra o medico di fiducia.

Come si capisce se si ha la malattia di Crohn?

La malattia di Crohn ha un andamento subdolo, motivo per cui un paziente potrebbe essere stato affetto da molti anni prima di avere dei sintomi tali da portare a scoprirla. I sintomi più frequenti all’esordio sono correlati alla sua localizzazione e comprendono un dolore con andamento a crampi nella parte inferiore-destra dell’addome, aumento del numero di evacuazioni con riduzione della loro consistenza, in genere in assenza di sangue nelle feci (caratteristiche invece tipica della sua malattia sorella, la colite ulcerosa), calo di peso, in certi casi febbre. Se la malattia ha avuto il tempo di evolvere verso il restringimento del lume dell’intestino tenue, all’esordio ci possono essere degli episodi di vomito con difficoltà ad evacuare (chiamati “episodi subocclusivi”).

Inoltre, la malattia di Crohn si può presentare anche con manifestazioni extra-intestinali quali dolore, gonfiore, rigidità alle articolazioni (esempio mani, ginocchia, caviglie oppure la parte bassa della schiena), cutanee (con un arrossamento intenso e dolente in un punto preciso e rilevato a livello degli stinchi, detto eritema nodoso) o altre manifestazioni extra-intestinali. Un’altra manifestazione tipica può essere quella a livello anale, con un ascesso (il paziente si accorge di un senso di peso a livello dell’ano, da cui può fuoriuscire del materiale giallastro, detto pus): tale presentazione deve sempre fa scattare nel medico il campanello d’allarme della ricerca di una possibile malattia di Crohn associata.

In questi pazienti vengono in genere effettuati degli esami del sangue alla ricerca di parametri infiammatori (globuli bianchi, proteina C reattiva), di malassorbimento (ferro, acido folico, vitamina B12), di altre cause che possono spiegare una sintomatologia simile (ricerca della celiachia, alterazioni della funzione tiroidea), e di infiammazione a livello delle feci (calprotectina fecale) o di cause infettive (coprocolture, parassitologico); viene quindi effettuata un’ecografia delle anse intestinali (esame non invasivo atto a valutare una infiammazione intestinale, che però deve essere effettuato da un operatore esperto nella sua esecuzione) e, quanto ritenuto necessario, una colonscopia con valutazione del colon e dell’ultimo tratto dell’ileo, che rimane ad oggi l’esame decisivo per la diagnosi.


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Come evolve la malattia di Crohn?

L’infiammazione che, generalmente, colpisce l’ultimo tratto dell’intestino tenue tende ad avere dei momenti di accensione, che poi guariscono con fibrosi (cicatrice). Questo, a lungo andare, porta ad un restringimento del lume dell’intestino tenue, con conseguente impatto del cibo e sintomatologia subocclusiva (dolore addominale, vomito, impossibilità ad evacuare e a mangiare per un giorno o due), soprattutto dopo un pasto abbondante o se il paziente assume fibre. Quest’ultime, infatti, non vengono digerite normalmente dal nostro corpo e passano il nostro intestino così come le deglutiamo. La loro assunzione, seppur utile a prevenire l’insorgenza della malattia di Crohn, può quindi risultare scarsamente tollerata una volta che la malattia è insorta.

Un’altra complicanza nel tempo della malattia di Crohn è quella dell’insorgenza delle fistole (comunicazioni), in genere tra un’ansa intestinale e un’altra; la fistola si trova subito prossimamente ad un tratto intestinale ristretto, a causa dell’aumento della pressione nel lume ma, la malattia di Crohn in quanto tale, ha la capacità di infiammare in prossimità il tubo digerente fino a causarne perforazioni anche in assenza di una stenosi a valle. Esse, in genere, vanno ad interessare un tratto di intestino adiacente e non causano una peritonite generalizzata.

Quando sono presenti queste complicanze l’indicazione principe è quella dell’intervento chirurgico: tale evento è molto frequente nei pazienti affetti da malattia di Crohn, sino a circa un 70% nell’arco di tutta la durata della malattia. È importante, però, che durante l’intervento chirurgico si porti via solo il tratto di intestino malato, poiché la malattia di Crohn recidiva sempre e, in caso fossero necessari ulteriori interventi chirurgici nel corso della vita del paziente, il rischio sarebbe quello di andare incontro ad un intestino corto (con necessità di nutrizione per via artificiale). Per fortuna tale evento (intestino corto), anche grazie all’evoluzione della terapia medica, è raro.

Un’altra importante paura del paziente è quella di finire con il cosiddetto “sacchetto” (o ano artificiale o stomia): anche tale prospettiva per fortuna è molto rara, principalmente nei pazienti con una malattia a livello anale così grave da non consentire più una qualità della vita sufficiente se il transito delle feci continua a passare per via anale.

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La malattia di Crohn può portare alla morte?

Per fortuna la durata della vita dei pazienti affetti da malattia di Crohn non è dissimile da quella della popolazione generale e, il problema principale, è quello della qualità della vita, piuttosto che della sua durata. Certamente ci possono essere delle condizioni in tale patologia che possono mettere il paziente a rischio della vita, quali il maggior rischio di eventi trombotici, le complicanze che possono insorgere in qualsiasi intervento chirurgico, i casi più gravi con un paziente con insufficienza intestinale a seguito di numerosi o estesi interventi chirurgici, nei quali vi possono essere numerosi rischi per la vita stessa (infezioni nel sito di accesso per la nutrizione artificiale, danno al fegato).

Per quanto riguarda la qualità della vita che, come detto, è la problematica principale di questi pazienti, piace però ricordare come personalità di spicco come un ex presidente degli Stati Uniti d’America o del Giappone o piloti di Formula 1 o giocatori di pallacanestro di spicco siano affetti da tale patologia e abbiano raggiunto picchi di eccellenza nel loro ambito lavorativo. Grazie all’uscita di sempre nuovi farmaci siamo in grado di controllare meglio tali patologie, anche se, solo la scoperta della causa di tali malattie potrà permettersi un giorno di guarirle definitivamente.

Prof. Davide Giuseppe Ribaldone
Prof. Davide Giuseppe Ribaldone
Professore Associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Scienze Mediche – Università degli Studi di Torino - Azienda Ospedaliera Università Città della Salute e della Scienza di Torino

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