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Gastroprotettore in gravidanza

Generalmente lo stato di gravidanza può causare reflusso gastroesofageo. Si stima, infatti, che circa il 50% delle donne gravide lamenti i sintomi tipici del reflusso, come il bruciore retrosternale, il rigurgito acido, l’acidità di stomaco e la nausea. Durante la gravidanza, infatti, intervengono cambiamenti ormonali e meccanici che possono favorire il reflusso. L’aumentata produzione di progesterone, ad esempio, rallenta la digestione e diminuisce la pressione dello sfintere esofageo. Inoltre lo sviluppo del feto aumenta la pressione sullo stomaco, favorendo la risalita dei succhi gastrici verso l’esofago. Questi cambiamenti fisiologici possono quindi accentuare la malattia da relfusso gastroesofageo (MRGE), favorendo il ricorso al gastroprotettore in gravidanza.

Si può prendere il gastroprotettore in gravidanza?

In linea generale l’utilizzo degli inibitori di pompa protonica durante la gravidanza è sicuro, non essendo associato a malformazioni congenite, aborti spontanei e nascite premature.

La Food and Drug Administration (FDA) ha classificato tutti gli inibitori di pompa protonica, eccezion fatta per l’omeprazolo, come farmaci di categoria B, cioè come sicuri durante la gravidanza. L’omeprazolo è stato invece classificato in categoria C[1]. Tale categoria indica che gli studi sulla riproduzione animale hanno mostrato effetti avversi sul feto e che mancano studi adeguati e ben controllati sugli esseri umani; tuttavia i potenziali benefici possono giustificare l’uso del farmaco nelle donne in gravidanza nonostante i potenziali rischi.

Dopo la classificazione della FDA diversi studi hanno approfondito il profilo di sicurezza dell’omeprazolo in gravidanza. Uno studio danese pubblicato su The New England Journal of Medicine ha esaminato 840.000 nascite. L’analisi dei dati non ha trovato associazione tra l’uso degli inibitori di pompa (IPP) nel primo trimestre di gravidanza e l’insorgenza di malformazioni alla nascita. In questo studio l’omeprazolo era il farmaco più prescritto tra le 840.000 madri prese in esame[2].

Un’ulteriore meta-analisi pubblicata nel 2009 ha valutato i dati provenienti da ben 7 diversi studi. L’analisi ha confermato che non c’è correlazione tra l’utilizzo dell’omeprazolo in gravidanza e l’occorrenza di nascite premature, aborti spontanei e malformazioni congenite[3]. In definitiva l’evidenza scientifica ha chiarito come non ci siano differenze in gravidanza tra l’omeprazolo e gli altri IPP (Pantoprazolo, Lansoprazolo, Esomeprazolo, etc.).

Si può prendere il gastroprotettore PRIMA della gravidanza?

Finora si è considerata la sicurezza degli IPP durante il periodo di gravidanza, escludendo rischi per le donne incinte. Vale la pena notare, pero, che l’uso degli inibitori di pompa nel periodo precedente la gravidanza è associato ad un piccolo aumento del rischio di malformazioni congenite. In particolare lo studio danese summenzionato ha rilevato come l’utilizzo degli IPP nelle quattro settimane precedenti il concepimento aumenti il rischio di difetti alla nascita[2]. Per questa ragione potrebbe essere consigliabile valutare con il proprio medico la sospensione degli inibitori di pompa, qualora si stia pianificando una gravidanza.

Cosa si può prendere per il reflusso in gravidanza?

Le donne in gravidanza che soffrono di reflusso gastroesofageo dovrebbero innanzitutto modificare le proprie abitudini alimentari, consumando pasti piccoli e frequenti (5 al giorno) ed evitando la posizione supina (sdraiata) appena dopo aver mangiato. La riduzione della quantità dei pasti, infatti, limita la pressione sullo stomaco, già gravato dal volume del feto. I pasti, inoltre, dovrebbero essere consumati almeno tre ore prima di coricarsi. La posizione supina favorisce, infatti, la risalita del contenuto gastrico verso l’esofago. Inoltre è raccomandabile alzare la testiera del letto, così da aumentare l’inclinazione del corpo durante il riposo. Infine una particolare attenzione dovrebbe essere riservata all’alimentazione, evitando cibi di difficile digestione che possano favorire il reflusso.

Nel caso in cui il cambiamento delle abitudini alimentari non migliori i sintomi da reflusso è possibile aggiungere i farmaci da banco anti-reflusso come gli alginati e gli antiacidi per tamponare il bruciore di stomaco[4]. Il loro uso combinato migliora la barriera gastoresofagea, diminuisce l’acidità e non presenta effetti avversi per il feto e la madre. Il loro utilizzo è da intendersi al bisogno e solo se clinicamente necessario.

In caso la paziente non risponda all’utilizzo degli alginati e degli antiacidi, è possibile utilizzare i farmaci H2 antagonisti, come la Ranitidina o la Famotidina. Se invece si soffre di malattia da reflusso gastroesofageo con complicazioni e gli H2 antagonisti non sono stati efficaci, è possibile ricorrere all’utilizzo degli inibitori di pompa protonica, come il pantoprazolo, il lansoprazolo o l’omeprazolo al dosaggio minore possibile. In ogni caso la raccomandazione generale è quella di limitare il più possibile l’utilizzo di farmaci, prenderli razionalmente (si veda fig. 1) e valutarne l’impiego sempre con il proprio medico.

Bibliografia

Prof. Ludovico Abenavoli
Prof. Ludovico Abenavoli
Professore associato di Malattie dell’Apparato Digerente - Dipartimento Scienze della Salute, Università “Magna Graecia” di Catanzaro - A.O.U. Renato Dulbecco di Catanzaro

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